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Gabetta: “Lavoro per il loro futuro. Sono il loro allenatore, non un amico”.
Intervista a Claudio Gabetta, allenatore dei Giovanissimi Nazionali.

Al timone dei Giovanissimi Nazionali della Juventus da cinque anni, Claudio Gabetta da Tortona, classe 1964 è uno dei cuori pulsanti del Settore Giovanile bianconero. Un allenatore serio, meticoloso e appassionato integratosi benissimo nella realtà juventina. Si è raccontato in un’intervista a Enrico Zambruno, sull’ultimo numero di Hurrà Juventus.
JUVENTUS – «Uno stile fatto di forza, correttezza e determinazione. Ma non solo. Mi ha elevato nella mia professione. Portare in giro il nome di un club di livello mondiale e così prestigioso richiede grande forza mentale e culturale. Lavorare qui è un privilegio. C’è un’ottima organizzazione con delle strutture eccellenti. Quando andiamo in giro per l’Italia e l’Europa non siamo una società qualsiasi. Siamo la Juventus».
GIOVANISSIMI – «Un gruppo di ottima prospettiva. E’ formato da ragazzi un po’ meno pronti fisicamente rispetto a quello dello scorso anno, ma che hanno comunque un futuro molto importante davanti. Abbiamo inizizato con grande impegno fin dal ritiro, poi abbiamo ben giocato i torneo “Ale e Ricky” e “Gaetano Scirea”. In campionato poi sono arrivate tante buone prestazioni, il gruppo è cresciuto in fretta in tanti elementi, permettendo anche l’aggregazione di alcuni atleti agli Allievi. Ora stiamo proseguendo nella progressione tecnica e mi considero molto soddisfatto».
SCORSA STAGIONE – «E’ mancato veramente poco per vincere lo scudetto. A Chianciano Terme abbiamo perso 1-0 in finale contro la Roma, sbagliando un rigore. Al di là della sconfitta, è stata una grande stagione. L’approdo alle final eight fu un bel momento, soprattutto quando eliminammo l’Inter a Vinovo dopo una partita eccezionale. Quella gara mi fece capire che il gruppo era pronto per giocarsi lo scudetto alla pari con tutti. Fu un percorso eccellente. Poi gli episodi, nel calcio, fanno la differenza. Anche quest’anno possimao ambire allo scudetto. Per qualità tecniche siamo uno dei migliori gruppi d’Italia».
CARRIERA – «Ho inziiato a giocare nella squadra della mia città, il Derthona, club con il quale ho disputato oltre 400 partite ufficiali da difensore centrale. In mezzo ho fatto esperienze a Pavia e Aosta, per poi tornare a Tortona. Ho smessoa 32 anni e ho subito iniziato ad allenare i ragazzini, poi per tante stagioni ho fatto il vice. A voghera, Castel di Sangro, Siena (promozione dalla C1 alla B), Cagliari e Cosenza. Da qui ho cominciato a fare il primo allenatore a Voghera, poi Primavera della Fiorentina, Benevento, Teramo, Legnano, Mezzocorona e infine è arrivata la chiamata della Juventus».
ALLENATORE – «Mi piace definirmi un istruttore di giovani calciatori, di ragazzi che sognano e che io devo accompagnare a questo sogno. Nella categoria che alleno la cosa importante è far capire che le partite sono delle tappe e delle verifiche. Ci deve essere agonismo, certo, ma il risultato deve essere visto come una conseguenza della prestazione. I ragazzi devono capire che bisogna dare sempre il massimo».
J-COLLEGE – «E’ importantissimo. Permette loro di potersi allenare spesso, anche con sedute mattutine. Ha sia un aspetto educativo che un aspetto tecnico. Tra allenatori e professori c’è sinergia, partecipiamo alle riunioni, la collaborazione è fondamentale.
GOH – (Nella scorsa stagione. Nel derby contro il Torino, successe una cosa curiosa. Massimo Goh, dopo un gol, venne a travolgerla d’affetto in panchina) «Gli dissi di non farlo mai più, perché arrivò a cento all’ora e mi travolse, anche perché poi arrivarono sopra tutti gli altri. A parte le battute, certo che mi ha fatto piacere. Però nei miei gruppi cerco sempre di far passare un concetto preciso: io non sono un loro amico ma sono il loro tecnico. Lavoro per il loro bene e nelle settimane precedenti ero stato duro con lui. Mi interessava che diventasse più forte: lui me lo volle dimostrare in quella maniera».
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